Uno sguardo riservato
Passeggiando per le strade dei paesi nella Piana di Gioia Tauro, si può notare la presenza di donne appartenenti alla comunità marocchina che lavorano, studiano. Donne con storie diverse, che si impegnano per una vita dignitosa dopo essere arrivate nel territorio italiano, cercando di integrarsi e riuscendoci.
Alcune continuano a portare i loro lunghi vestiti tradizionali e altre, invece, hanno abbandonato il loro uso quotidiano. Osservandole nelle loro passeggiate, si nota quanto sia raro incontrare i loro sguardi, segno di timidezza e di rispetto, rivolti spesso verso il basso.
Intervistando tre donne diverse abbiamo percepito come siano riuscite a ritagliarsi uno spazio con la loro cultura all’interno di un’altra, quella italiana.
NADIA
Che origini ha?
«Io sono originaria del Marocco, il mio nome è Nadia».
Da quanti anni vive in Italia?
«Penso da quasi dodici anni».
Com’è stato il suo viaggio?
«Ho viaggiato con l’aereo. Il primo viaggio è stato un po’ duro perché ho lasciato mia madre, mio padre e le mie sorelle, mi sono allontanata dalla mia famiglia perché ho dovuto raggiungere mio marito».
Cosa l’ha portata a trasferirsi in Italia?
«Mi sono sposata e sono venuta a vivere con mio marito, perché lui vive e lavora qua».
Ha mai pensato di tornare a vivere nel suo Paese?
«Non penso di tornare, perché ormai questa è la mia vita. Io sono cittadina italiana, continuerò a vivere qui fino a quando non morirò. Per essere però sepolta in Marocco».
Sente di essersi pienamente integrata?
«All’inizio ho avuto qualche difficoltà a integrarmi, poi piano piano mi sono trovata sempre meglio. Sono andata a scuola, ho preso la terza media e adesso lavoro».
Ha incontrato difficoltà nel trovare lavoro?
«Un po’ sì, lavoro come badante, volevo trovare qualche lavoro con la terza media ma niente».
Vedo che porta il velo, l’ha ostacolata in qualche modo nel mondo del lavoro?
«No, no! Anche perché prima non lo portavo, e anche senza non riuscivo a trovare lavoro. Adesso faccio la badante a una signora e una volta arrivata da lei lo tolgo, e faccio tranquillamente il mio lavoro».
Com’è cambiato il rapporto con le sue tradizioni?
«Continuo a portare avanti le mie tradizioni e a professare la mia religione. Vivo con mio marito, purtroppo non ho avuto bambini, e viviamo il mese del Ramadan solo noi due, è un po’ difficile frequentare qua la moschea».
FATNA
Che origini ha?
«Io sono marocchina, ma ormai vivo da parecchi anni qua in Italia, penso quarant’anni anni circa, quindi mi sento italiana».
Com’è stato il viaggio?
«Sono venuta con mio marito, è stato un bel viaggio. Ho vissuto circa cinque anni con lui, poi è andato via e io sono rimasta con i bambini».
Si sente pienamente integrata?
«Sì, all’inizio lavoravamo sia io che mio marito. Dopo che lui se n’è andato, io e i miei figli siamo rimasti in Sardegna per anni, dopo ci siamo trasferiti in Calabria. Qui ho lavorato nel mercato, ho fatto la donna delle pulizie e ho cresciuto i miei figli».
Perché è rimasta in Calabria e non si è spostata nuovamente?
«Qua ho trovato lavoro, mi sono trovata bene e, quindi, ho deciso di restare».
Ha incontrato difficoltà nel relazionarsi con le persone?
«Mi sono sempre trovata bene, non ho avuto nessun tipo di problema. Le persone che mostravano razzismo le ho sempre lasciate perdere, ma ho incontrato molte persone buone».
Ha mai pensato di tornare in Marocco?
«A me piace molto anche il mio Paese, ci vado ogni tanto. Ma ormai vivo qua».
In che modo è cambiato il rapporto con le sue tradizioni da quando vive in Italia?
«Continuo a portare avanti quelle che erano le mie abitudini in Marocco, rispettando anche la cultura italiana. La mia cultura e la mia religione avranno per me sempre la stessa importanza».
Ha incontrato difficoltà a trovare lavoro?
«Quando lavoravo al mercato, la difficoltà era nel trovare posto dove esporre la merce, uno spazio mio. Anche con le persone da cui facevo le pulizie mi trovavo bene, con alcuni di più altri di meno, ma tutto sommato bene».
HANANE
Che origini ha?
«Sono marocchina».
Da quanti anni vive in Italia?
«Avevo due anni quando sono arrivata in Italia, adesso ne ho trentotto».
Com’è stato il suo primo viaggio?
«Ho un po’ i ricordi confusi, ero una bambina piccola. Avevo due anni e sono venuta con i miei genitori in aereo».
Sente di essersi pienamente integrata?
«Sì, è impossibile non sentirsi a casa in un Paese che ti fa stare bene. L’Italia e le persone che la abitano mi hanno aiutata a creare la mia vita e a trovare me stessa».
Ha mai pensato di tornare a vivere nel suo Paese?
«No, come ho già detto l’Italia è la mia casa, ma ovviamente ogni tanto un giro di vacanza in Marocco mi è dovuto».
Com’è cambiato il rapporto con le sue tradizioni?
«Crescendo mi sono legata sempre di più alla mia cultura: da piccola non ero consapevole di molti aspetti. Nel corso del tempo sono maturata e adesso ho un legame più solido con le mie origini».
Si sente accolta pienamente?
«Sì, l’Italia è casa mia».
Ahlam El Abi